ORLANDO SHORTS 2025 è la rassegna di cortometraggi che arriva quest’anno alla sua sesta edizione. La selezione, avvenuta presso gli spazi di Ink Cub, è stata curata da un gruppo di persone under 25. Un percorso di incontri in presenza è stato occasione ed espediente per discutere collettivamente alcune questioni relative a identità di genere, violenze di genere, vissuti, tematiche e storie della comunità queer. La rassegna esprime quindi il punto di vista, le priorità, i bisogni e i desideri delle generazioni più giovani.
La selezione verrà proiettata per due giorni, in loop, con accesso possibile in qualsiasi momento durante gli orari di apertura, nello spazio di Performatorio, arredato, per l’occasione, con elementi morbidi in cui sia piacevole sostare.
I titoli:
A Menos que bailemos (Unless We Dance) di Hanz Rippe Gabriele e Fernanda Pineda Palencia (Colombia, 2023) - durata 15’
A Quibdó, città colombiana con alto tasso di criminalità, la danza si fa linguaggio per affrontare un contesto sociale intriso di violenza, razzismo, omofobia e transfobia.
Jusqu'au dessert di Jules Duclos e Noë Simondi
(Francia, 2023) - durata 4’
Durante un pasto in famiglia, Ninho, un giovane uomo transgender, sprofonda in una spirale di negatività. Con l’aiuto de* amic*, cerca di liberarsi da un ricordo tormentato.
Gender Reveal di Mo Matton
(Canada, 2024) - durata 13’
Un trio queer a un gender reveal party, cosa potrebbe andare storto? Una dark comedy imprevista sull'inadeguatezza sociale e sugli stereotipi di genere.
Tudo que importa (All That Matters) di Coraci Ruiz
(Brasile, 2024) - durata 20’
Tre famiglie a confronto, tre storie di accoglienza e celebrazione dell’identità trans in un racconto che coinvolge diverse generazioni.
Aquest (no) és el teu oceà (This is (not) your ocean) di Jordi Wijnalda
(Spagna, 2024) - durata 14’
Una lettera intima prende forma tra suono e immagini, un'ode a un amore queer che si confronta con una perdita irrimediabile.
Un evento nel programma di ORLANDO FESTIVAL 2025
in collaborazione con Ink Club, Performatorio e Florence Queer Festival.
Domenica 4 maggio alle ore 15.00 è prevista una presentazione della rassegna con traduzione in LIS.
La selezione è stata fatta da: Laura Amponsah, Nadiatou Bara, Giuditta Capelli, Martina Carbonaro, Ilaria Carrara, Anna El Koun, Jamila El Koun, Andrea Ruggeri, Elisa Tomiello.
Il Putan Club - duo franco-italiano formato da François Cambuzat e Gianna Greco - è una cellula radicale, anarchica e profondamente indipendente. Nessuna etichetta discografica, nessuna agenzia, nessun management. Cambuzat e Greco organizzano tutto da sé, dai concerti ai dischi alle interviste, con una media incredibile di oltre 150 concerti all’anno in ogni angolo del mondo, spesso in luoghi remoti e marginali, sostenendo progetti e comunità dalla forte identità politica e culturale. Musicalmente si muovono tra post-punk, industrial, noise e techno, ma in realtà sono un po’ tutto e non se ne dispiacciono.
Performatorio condivide con Invisible°Show una passione per l’ibridazione tra musica, corpo e performance, e il desiderio di creare esperienze autentiche come il sudato rito collettivo del Putan Club, per la prima volta a Bergamo.
Per conoscere meglio il Putan Club
SELVAGGERIE
Leggi l'intervista a cura di Invisible°Show.
Pauline Oliveros, compositrice, improvvisatrice e performer americana queer, esplora la differenza tra la natura involontaria dell'udito e quella volontaria e selettiva dell'ascolto. Per lei, l'ascolto profondo è “imparare a espandere la percezione dei suoni per includere l'intero continuum spazio-temporale del suono, accogliendo la maggior parte possibile della sua vastità e complessità”.
Un metodo che Diana Lola Posani - performer vocale e facilitatrice di Deep Listening certificata dalla Deep Listening Foundation - applica attraverso partiture e improvvisazioni, coltivando una maggiore consapevolezza dell'ambiente sonoro esterno e interno ed esplorando l'ascolto come strumento poetico per espandere i confini della realtà: qual è la differenza tra un suono ricordato, un suono sognato e uno appena sentito? L'azione collettiva mira a decostruire e rimuovere queste distinzioni percettive.
Una metodologia che comprende pratiche come lavoro corporeo, meditazioni sonore, massaggio sonoro, movimento nello spazio e non richiede nessun requisito o competenza.
Un’esperienza adatta a tutte le persone interessate alla divulgazione del significato dell’ascolto, professioniste della musica e del suono, o semplici appassionate.
Per approfondire la ricerca di Diana Lola Posani
SCOLPIRE IL SUONO
Leggi l'intervista!
(Nell'immagine: Mariella Bettineschi, Morbido, 1980, organza, fiocco, oro, 23x19x3 cm)
“L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche”, curata da Lea Vergine nel 1980, è una mostra che oggi chi non c’era potrebbe definire leggendaria per il modo in cui ha evidenziato e riscritto il tema della presenza femminile all’interno del sistema dell’arte.
Angela Maderna, storica dell’arte, nel saggio edito da Postmediabooks “L’altra metà dell’avanguardia quarant’anni dopo” ha provato a ricostruire il progetto ricollocandolo nel contesto sociale nazionale e nell’ambito del clima di rivendicazioni femministe degli anni Settanta, anche nel sistema dell’arte.
Un’indagine che ha aperto la strada a una nuova ricerca, partendo da una domanda: cosa è successo dopo? Qual è stata la relazione tra arte italiana e femminismo negli anni Ottanta? Cosa stava cambiando rispetto al decennio precedente?
Negli anni Ottanta, infatti, l'Italia attraversava un periodo di trasformazioni culturali e politiche che si riflettevano profondamente anche nelle arti visive e nel movimento delle donne. Dopo il fervore delle lotte degli anni Settanta, caratterizzate in Italia soprattutto dallo scoperta e dalla rivendicazione della differenza sessuale come strumento di liberazione, gli anni Ottanta hanno segnato un momento diverso.
A livello sociale gli ultimi anni Settanta, segnati da un clima di violenza e tensione, avevano generato la disillusione e la disaffezione nei confronti delle ideologie, il movimento delle donne aveva smesso di essere un soggetto antagonista percepito come unitario e si facevano strada le diverse anime dei femminismi. Negli anni Ottanta infatti il femminismo non occupava più le piazze e le pagine dei giornali ma non si era arrestato, aveva preso diverse strade: da una parte era entrato a far parte delle istituzioni e le istanze erano soprattutto quelle della richiesta di parità, mentre il livello culturale conosceva una nuova fase di riflessione teorica, che guardava anche alla storia delle discipline rileggendole.
Anche sul fronte dei linguaggi artistici, in questo periodo, si tornava a guardare alla storia e a praticare le tecniche tradizionali di pittura e scultura. Dopo un decennio di azzeramento e smaterializzazione dell’oggetto, negli anni Ottanta gli artisti e le artiste delle nuove generazioni ricominciavano a dipingere e scolpire, in molti casi avvertendolo come un atto liberatorio rispetto alla rigidità del clima precedente. Le artiste, a differenza di molte colleghe della generazione precedente che negli anni Settanta avevano rivendicato uno spazio nel sistema, si allontanavano dal femminismo e diffidavano delle iniziative separatiste, chiedendo al contrario il confronto con gli artisti e la parità di trattamento rispetto ai colleghi.
Ripercorrere il rapporto tra arte italiana e femminismo negli anni Ottanta non è solo un esercizio storico, ma una chiave di lettura fondamentale per comprendere le dinamiche attuali. In un’epoca segnata da una nuova ondata femminista globale e da una crescente polarizzazione del dibattito pubblico, le lotte e le riflessioni di un’epoca precedente offrono strumenti preziosi per affrontare le sfide del presente.
Le artiste e in generale le donne di oggi, come quelle di ieri, si trovano a fronteggiare una fase delicata di trasformazione: quella di un sistema che tenta di normalizzare il dissenso e di un’industria culturale che lo fagocita. Conoscere il passato può aiutarci a trovare delle risposte su come gestire questo momento, che sembra avere molti elementi in comune con quella fase. Oggi proveremo a cercarle insieme.
“Daytime Viewing” (1979-80) di Jacqueline Humbert e David Rosenboom, è una composizione narrativa estesa e un’intensa riflessione sulla condizione femminile.
Originariamente concepita come performance teatrale nella quale Jacqueline Humbert era la protagonista, nasce dall’analisi dei programmi televisivi trasmessi nella fascia diurna (il daytime viewing, appunto) e dei fenomeni socio-culturali assimilabili all’audience a cui erano rivolti: le casalinghe.
Nella performance la protagonista vive una duplice esistenza, tra realtà e immaginazione. Un racconto che esaspera soggetti e oggetti del panorama mediatico televisivo – gossip, narrazioni iper-romantiche e moda – in un meccanismo di difesa funzionale contro la solitudine della condizione femminile. Le esperienze personali della protagonista si confondono con la fiction, trasformando la vita quotidiana in uno spettacolo immaginario che aliena progressivamente dalla realtà. Nella sua storia confluiscono le vite di molte donne dell’epoca – ma anche dei nostri giorni – intrappolate nelle convenzioni del lavoro domestico e all’interno di relazioni disfunzionali e abusanti.
“Daytime Viewing” oggi non esiste più nella sua forma di performance teatrale. Ciò che rimane è la documentazione, in un'edizione privata su VHS, oltre alla recente pubblicazione dell'album edito per Unseen Worlds. Un racconto fatto di suoni e parole - potente, straniante e terribilmente attuale.
ALMARE, organizzazione focalizzata sulle pratiche che utilizzano il suono come mezzo espressivo, ci guiderà alla scoperta di quest’opera attraverso una listening session e una talk espansa: tra ascolto, materiali d’archivio e riflessioni sull’incontro tra linguaggio mediatico e pratiche artistiche.
David Rosenboom parteciperà all'incontro in collegamento online.
La listening session di “Daytime Viewing” si inserisce nel frame della quarta edizione di “Sound Quests”: il progetto annuale curato da ALMARE che indaga il rapporto tra narrazioni sonore e world-building concentrandosi ogni anno su un media specifico. Per il 2025 l’oggetto d’indagine è stato la televisione. Dopo essere stata presentata per la prima volta in Italia attraverso una mostra e un seminario a Torino (23 gennaio – 16 febbraio), realizzati grazie al supporto dello stesso Rosenboom e in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, “Daytime Viewing” arriva al Performatorio.
COME ATTORNO A UN FUOCO
Leggi l'intervista a Giulia Mengozzi e Amos Cappuccio di ALMARE
A_R_C_C è il progetto nato nel 2014 dall’incontro tra Arnaud Rivière (A_R) e C_C (moniker di Édouard Ribouillault). È anche l’acronimo di Association de Recherche Contre le Concert, una dichiarazione d’intenti che prende forma nella loro performance: una partitura sonora e visiva nella quale la luce, intesa non come elemento decorativo ma informativo, quindi come fenomeno fisico, rende manifesto il processo di creazione.
On-off, bassa o alta intensità. Attraverso una serie di Led e fotosensori utilizzati per generare e trasformare i suoni, vediamo quello che ascoltiamo e viceversa, in un dialogo tra i due elementi diretto e visibile ma allo stesso tempo intriso di magico mistero.
Sulla scia della tradizione che utilizza componenti elettronici nella pratica artistica (Peter Vogel, Voice Crack e Tristan Perich per citarne alcuni), A_R_C_C inserisce il gesto compositivo in una specifica installazione. Creando con componenti e strumenti elettronici, definiscono uno spazio di possibilità in cui l’improvvisazione si sviluppa in modo spontaneo seguendo una serie di reazioni causa-effetto. Il risultato è un’esperienza live ogni volta unica.
A_R_C_C realizza in modo analogico e dal vivo la promessa di quegli ingegneri delle prime epoche dell’informatica libera e per tutti: What You See Is What You Get!
E LUCE FU
Leggi l'intervista ad A_R_C_C - Arnaud Rivière e Édouard Ribouillault.
Good Job, Good Boy II” è una performance sui temi dell'intimità, dell'immaginazione, delle strutture familiari e della differenza di classe.
Partendo da ricordi personali legati al desiderio queer e alla vita rurale, Eloy Cruz del Prado esplora la continua ricerca di validazione che passa attraverso il lavoro.
Combinando auto-fiction e ripetizione, l'artista porta l’attenzione sui meccanismi che modellano il nostro senso di autostima, la nostra identità e l'appartenenza sociale.
Attraverso la rappresentazione di tre personaggi (il nonno, la mula da lavoro del nonno e l'autore stesso), la performance evidenzia come le esperienze personali si intersecano con strutture sociali più ampie e narrazioni condivise.
L'ARTE È LA RISPOSTA
Leggi l'intervista a Eloy Cruz del Prado.
“PEZZI” è una performance d’asporto, nel vero senso della parola. Funziona così: scegli un pezzo, lo pesiamo e incartiamo, lo paghi ed è tuo.
Suona famigliare?
Lo è.
Attraverso la combinazione di due elementi – il corpo come matrice e il commercio al dettaglio – “PEZZI” invita a riflettere sulla bottom line della nostra vita, il principio che ogni giorno determina e orienta le azioni di milioni di persone.
L’Amore? No, purtroppo.
Il business. La produzione e il consumo.
“PEZZI” è anche la raccolta fondi di fine anno del Performatorio, l’occasione per incontrarci per un aperitivo, rinnovare l’adesione all’Associazione per il 2025 e partecipare all’azione collettiva di fundraising, acquistando un pezzo al nostro bizzarro mercato.
Di quali pezzi stiamo parlando?
Non te lo spoileriamo, partecipa e lo scoprirai.
Ti aspettiamo all'ora dell'aperitivo!
L’ingresso è libero.
Il workshop "Materia corpo" esplora una varietà di pratiche performative, tra cui danza Butoh, Euritmia e danza somatica, con l'obiettivo di liberare il potenziale energetico e creativo di ogni partecipante.
Un percorso adatto a tutte le persone interessate alla danza, al teatro, alla musica, alla ricerca dei linguaggi artistici e a chiunque desideri sperimentare attraverso la metodologia della performing art.
Il pensiero e il metodo
Il corpo è allo stesso tempo fisico ed energetico, sostanza ed esperienza emotiva: un flusso ininterrotto in cui ciò che accade all’interno si riflette all’esterno.
“Materia corpo” sostiene la consapevolezza di questo rapporto osmotico al fine di creare una connessione tra corpo ed emozioni funzionale alla libera espressione di sé.
L’esperienza del workshop avviene in un ambiente di supporto e di ascolto, sotto la guida di Federica Dauri, affinché tutte le persone si sentano libere di fare esperienza attraverso una metodologia che prevede:
· Training iniziale – il corpo, la voce.
· Elementi di danza Butoh, Euritmia e danza somatica – gli strumenti.
· Risveglio corporeo – l’attivazione dell’intelligenza emotiva.
· Il respiro – la chiave di accesso al corpo sottile.
· Pratiche di improvvisazione guidata e composizione – la sperimentazione.
· Corpi nello spazio – la relazione.
· Presenza scenica – allenare la capacità di rischiare.
Da sapere
Non sono richiesti requisiti o competenze pregresse.
Il workshop verrà attivato al raggiungimento del numero minimo delle iscrizioni, aperte fino al 20 novembre.
Per approfondire la ricerca di Federica Dauri leggi l'intervista "Il principio di Intenzione"
Performance di Federica Dauri, con la collaborazione di Elisa Batti per la composizione sonora.
“Interno sospeso” è la performance di Federica Dauri che unisce scultura, suono e movimento creando uno spazio immersivo ed evocativo.
La scultura in rete metallica, installata al centro dello spazio scenico, delimita il confine entro il quale si svolge la performance. Un movimento lento e consapevole esplora ogni angolo di questo spazio 'sospeso' come in un percorso che dall’interno – il sé, il corpo – si dirige verso l’esterno – il limite.
La composizione sonora, realizzata da Elisa Batti, è pensata per dialogare con la performance; guida lo spettatore in un viaggio contemplativo che si dispiega attraverso tensione, armonia e ritmo.
“Interno sospeso” è una bolla, una stanza di decompressione che invita il pubblico a sospendere, appunto, ogni esperienza conosciuta e arrendersi ad altre possibilità in cui ciò che vediamo non è esattamente come appare. Un materiale metallico e rigido diventa fluttuante ed etereo, il tempo si dilata e il corpo - con le sue tensioni, le sue sensazioni - diventa l’unico strumento di esplorazione dello spazio.
Non esiste un vero inizio di "Interno sospeso" e neanche una fine. La performance si svolge lentamente, in un flusso costante in cui il corpo di Federica Dauri e il suono si fondono con l’installazione scultorea.
Il pubblico è invitato a sintonizzarsi a questo fluire, scegliendo quando entrare, sostare, attraversare lo spazio o abbandonarlo.
Per approfondire la ricerca di Federica Dauri leggi l'intervista "Il principio di Intenzione"