Pauline Oliveros, compositrice, improvvisatrice e performer americana queer, esplora la differenza tra la natura involontaria dell'udito e quella volontaria e selettiva dell'ascolto. Per lei, l'ascolto profondo è “imparare a espandere la percezione dei suoni per includere l'intero continuum spazio-temporale del suono, accogliendo la maggior parte possibile della sua vastità e complessità”.

Un metodo che Diana Lola Posani - performer vocale e facilitatrice di Deep Listening certificata dalla Deep Listening Foundation - applica attraverso partiture e improvvisazioni, coltivando una maggiore consapevolezza dell'ambiente sonoro esterno e interno ed esplorando l'ascolto come strumento poetico per espandere i confini della realtà: qual è la differenza tra un suono ricordato, un suono sognato e uno appena sentito? L'azione collettiva mira a decostruire e rimuovere queste distinzioni percettive.

Una metodologia che comprende pratiche come lavoro corporeo, meditazioni sonore, massaggio sonoro, movimento nello spazio e non richiede nessun requisito o competenza.

Un’esperienza adatta a tutte le persone interessate alla divulgazione del significato dell’ascolto, professioniste della musica e del suono, o semplici appassionate. 

Il workshop verrà attivato al raggiungimento di un numero minimo di partecipanti.

“Quando mi vidi non c’ero” è il titolo di un’opera dell’artista visivo Vincenzo Agnetti che Diana Lola Posani prende in prestito per la sua nuova performance.

L’ossimoro di Agnetti allude a un conflitto con l’identità, che appare solo entrando in contatto con la sua assenza.

Una performance composta da una partitura che alterna respiro vocale e grido soffocato, in un avvicendarsi quasi impercettibile di tessiture.

L'azione scenica minimalista vede la performer bendarsi per cancellare temporaneamente la propria umanità, e aprire il campo ad un’espressione vocale più simile ad un paesaggio o ad uno stato interno.
Il centro dell'opera è il paradosso tra l'assolo vocale, dove la propria presenza e identità sono il centro assoluto dell'attenzione, e il respiro sonoro come annientamento di sé.

Alla performance seguirà un incontro con l'artista.

Domenica 13 aprile, invece, workshop di DEEP LISTENING a cura di Diana Lola Posani
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(Nell'immagine: Mariella Bettineschi, Morbido, 1980, organza, fiocco, oro, 23x19x3 cm)

“L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche”, curata da Lea Vergine nel 1980, è una mostra che oggi chi non c’era potrebbe definire leggendaria per il modo in cui ha evidenziato e riscritto il tema della presenza femminile all’interno del sistema dell’arte. 

Angela Maderna, storica dell’arte, nel saggio edito da Postmediabooks “L’altra metà dell’avanguardia quarant’anni dopo” ha provato a ricostruire il progetto ricollocandolo nel contesto sociale nazionale e nell’ambito del clima di rivendicazioni femministe degli anni Settanta, anche nel sistema dell’arte.


Un’indagine che ha aperto la strada a una nuova ricerca, partendo da una domanda: cosa è successo dopo? Qual è stata la relazione tra arte italiana e femminismo negli anni Ottanta? Cosa stava cambiando rispetto al decennio precedente?

Negli anni Ottanta, infatti, l'Italia attraversava un periodo di trasformazioni culturali e politiche che si riflettevano profondamente anche nelle arti visive e nel movimento delle donne. Dopo il fervore delle lotte degli anni Settanta, caratterizzate in Italia soprattutto dallo scoperta e dalla rivendicazione della differenza sessuale come strumento di liberazione, gli anni Ottanta hanno segnato un momento diverso. 

A livello sociale gli ultimi anni Settanta, segnati da un clima di violenza e tensione, avevano generato la disillusione e la disaffezione nei confronti delle ideologie, il movimento delle donne aveva smesso di essere un soggetto antagonista percepito come unitario e si facevano strada le diverse anime dei femminismi. Negli anni Ottanta infatti il femminismo non occupava più le piazze e le pagine dei giornali ma non si era arrestato, aveva preso diverse strade: da una parte era entrato a far parte delle istituzioni e le istanze erano soprattutto quelle della richiesta di parità, mentre il livello culturale conosceva una nuova fase di riflessione teorica, che guardava anche alla storia delle discipline rileggendole.

Anche sul fronte dei linguaggi artistici, in questo periodo, si tornava a guardare alla storia e a praticare le tecniche tradizionali di pittura e scultura. Dopo un decennio di azzeramento e smaterializzazione dell’oggetto, negli anni Ottanta gli artisti e le artiste delle nuove generazioni ricominciavano a dipingere e scolpire, in molti casi avvertendolo come un atto liberatorio rispetto alla rigidità del clima precedente. Le artiste, a differenza di molte colleghe della generazione precedente che negli anni Settanta avevano rivendicato uno spazio nel sistema, si allontanavano dal femminismo e diffidavano delle iniziative separatiste, chiedendo al contrario il confronto con gli artisti e la parità di trattamento rispetto ai colleghi.

Ripercorrere il rapporto tra arte italiana e femminismo negli anni Ottanta non è solo un esercizio storico, ma una chiave di lettura fondamentale per comprendere le dinamiche attuali. In un’epoca segnata da una nuova ondata femminista globale e da una crescente polarizzazione del dibattito pubblico, le lotte e le riflessioni di un’epoca precedente offrono strumenti preziosi per affrontare le sfide del presente.

Le artiste e in generale le donne di oggi, come quelle di ieri, si trovano a fronteggiare una fase delicata di trasformazione: quella di un sistema che tenta di normalizzare il dissenso e di un’industria culturale che lo fagocita. Conoscere il passato può aiutarci a trovare delle risposte su come gestire questo momento, che sembra avere molti elementi in comune con quella fase. Oggi proveremo a cercarle insieme.

“Daytime Viewing” (1979-80) di Jacqueline Humbert e David Rosenboom, è una composizione narrativa estesa e un’intensa riflessione sulla condizione femminile.

Originariamente concepita come performance teatrale nella quale Jacqueline Humbert era la protagonista, nasce dall’analisi dei programmi televisivi trasmessi nella fascia diurna (il daytime viewing, appunto) e dei fenomeni socio-culturali assimilabili all’audience a cui erano rivolti: le casalinghe.

Nella performance la protagonista vive una duplice esistenza, tra realtà e immaginazione. Un racconto che esaspera soggetti e oggetti del panorama mediatico televisivo – gossip, narrazioni iper-romantiche e moda – in un meccanismo di difesa funzionale contro la solitudine della condizione femminile. Le esperienze personali della protagonista si confondono con la fiction, trasformando la vita quotidiana in uno spettacolo immaginario che aliena progressivamente dalla realtà. Nella sua storia confluiscono le vite di molte donne dell’epoca – ma anche dei nostri giorni – intrappolate nelle convenzioni del lavoro domestico e all’interno di relazioni disfunzionali e abusanti.

“Daytime Viewing” oggi non esiste più nella sua forma di performance teatrale. Ciò che rimane è la documentazione, in un'edizione privata su VHS, oltre alla recente pubblicazione dell'album edito per Unseen Worlds. Un racconto fatto di suoni e parole - potente, straniante e terribilmente attuale.

ALMARE, organizzazione focalizzata sulle pratiche che utilizzano il suono come mezzo espressivo, ci guiderà alla scoperta di quest’opera attraverso una listening session e una talk espansa: tra ascolto, materiali d’archivio e riflessioni sull’incontro tra linguaggio mediatico e pratiche artistiche. 

David Rosenboom parteciperà all'incontro in collegamento online.

La listening session di “Daytime Viewing” si inserisce nel frame della quarta edizione di “Sound Quests”: il progetto annuale curato da ALMARE che indaga il rapporto tra narrazioni sonore e world-building concentrandosi ogni anno su un media specifico. Per il 2025 l’oggetto d’indagine è stato la televisione. Dopo essere stata presentata per la prima volta in Italia attraverso una mostra e un seminario a Torino (23 gennaio – 16 febbraio), realizzati grazie al supporto dello stesso Rosenboom e in collaborazione con la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, “Daytime Viewing” arriva al Performatorio.

COME ATTORNO A UN FUOCO
Leggi l'intervista a Giulia Mengozzi e Amos Cappuccio di ALMARE

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